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Facebook, ovvero la vetrina su casa mia.

Mark Zuckerberg

Non ha più senso parlare di riservatezza online, le norme sociali sono cambiate” così esordiva il CEO di Facebook Mark Zuckerberg in una delle sue interviste, affermando inoltre che ormai nessuno ha problemi a condividere i propri dati personali sul social network, puntando il dito contro gli utenti e sentendosi così (quasi) legittimato ad effettuare  trattamenti illeciti di dati personali.

 

Non passa giorno che non postiamo foto, inviti e partecipazioni ad eventi, idee ed opinioni su tutto quello che succede perché ormai, diciamolo onestamente, siamo diventati tutti molto social. Viviamo nella ferma convinzione che se non si posta sul social network del momento una foto comprensiva di geolocalizzazione e stato d’animo annesso e non completiamo la frase “in compagnia di…” ci sentiamo esclusi dalla vita sociale. Ebbene, crediamo di non nuocere a nessuno se rendiamo partecipi i nostri 800 amici  di quello che stiamo vivendo, dimenticandoci che dare informazioni su di noi, su ciò che facciamo e dove ci troviamo diventa una ghiotta occasione per chi, con queste informazioni, ci lavora smuovendo dati e capitali – intesi proprio nel vero termine della parola. A causa della poca trasparenza di Facebook e dalla leggerezza dell’utente, è proprio quest’ultimo a pagare le conseguenze maggiori vedendo i suoi dati ceduti ad agenzie di marketing, ma non solo, senza aver fornito consenso alcuno rimanendo così vittima di trattamenti illeciti di dati personali.

L’ultimo caso che ha coinvolto il colosso Facebook è quello di Cambridge Analytica, per cui Zuckerberg è stato chiamato da Europa e Stati Uniti per giustificare l’utilizzo irregolare ed illecito dei dati di circa 50 milioni di utenti (dichiarati dallo stesso Zuckerberg come molti di più), al fine di manipolare e guidare le ultime elezioni americane che hanno visto gli staff politici coinvolti nella corsa elettorale impegnati nello studio dei profili degli elettori americani.

I Senatori americani Amy Klobuchar e John Kennedy affermano che il problema di fondo si trova nell’enorme quantità di dati ammassati da Facebook, Google e Twitter, colossi che si sentono autorizzati a trattarli “quando vendono pubblicità, compresa pubblicità politica”. L’utente Facebook pensa che la sua bacheca sia protetta dalla privacy, ma numerosi e complicati algoritmi calcolano le preferenze, gli stati d’animo, i like e i desideri delle persone consentendo, nel caso dello scandalo di Cabridge Analytica, di studiare slogan e discorsi a tavolino che il futuro presidente americano dovrà tenerr alla comunità. Insomma: diamo al popolo ciò che il popolo vuole.

Il caso di Cambridge Analyitica non è l’unico in cui Zuckerberg e la sua azienda sono coinvolti. nell’ultimo periodo infatti, egli è stato accusato di aver concluso dei contratti che prevedevano la cessione di dati personali tra lui e le compagnie produttrici di smartphones, anche qui per carpire illegittimamente informazioni sulle preferenze degli utenti.

Insomma, per concludere si può dire che quello che spetta al nuovo regolamento europeo è un compito arduo: da una parte punta a proteggere sempre di più i dati forniti online da utenti europei e dall’altra vuole responsabilizzare le persone, cercando di consapevolizzarle sul pericolo di vedere i propri dati utilizzati per fini manipolatori. Quel che è certo, è che gli scandali Facebook dovrebbero far capire a tutti noi “utenti social” che dobbiamo essere più consapevoli dell’importanza che hanno i nostri dati personali.

 

Fonti:   www.corriere.it            www.garanteprivacy.it            www.federprivacy.org